La «cognizione del tempo preterito [antico] e del sito della terra è ornamento e cibo delle menti umane», scrive Leonardo nel Codice Atlantico (f. 1040v) pochi anni prima di dedicarsi alla compilazione del Codice Leicester (dal 1506). È una premessa programmatica alle sue annotazioni paleontologiche e a quelle archeologiche.
Nato in terra etrusca, Leonardo si interessò ovviamente al passato archeologico della Toscana anche se, nei suoi manoscritti, non lasciò molti disegni o annotazioni relativi a monumenti o reperti antichi. Tuttavia opere come la Battaglia di Anghiari mostrano evidenti i riferimenti ai rilievi di sarcofagi romani, come quello con la Caduta di Fetonte, oggi conservato agli Uffizi. Altrettanto espliciti sono i richiami all’epos e all’arte del mondo classico nei disegni di cavalli, frequenti nelle sue opere, e nei soggetti di alcuni suoi celebri capolavori come Leda e il cigno e le Ninfe. Anche in architettura è evidente lo studio di modelli antichi.
Leonardo era considerato dai suoi contemporaeni esperto di “anticaglie”; di questo abbiamo testimonianza per la richiesta, nel maggio 1502, di una sua valutazione circa quattro vasi antichi, provenienti dalla collezione di Lorenzo de’ Medici, che Isabella d’Este voleva acquistare. Nel Codice delle Antichità di Roma (1501-1503), è probabilmente il suo amico Bramantino a ricordare un libro di “Maestro Lionardo”, portato dallo stesso Vinci a Roma intorno al 1501, nel quale era presente il riferimento al disegno di un edificio della Villa Adriana a Tivoli, dove sappiamo che Leonardo si recò, proprio nel 1501.
Un “Libro d’Anticaglie” è menzionato fra i libri posseduti da Leonardo nel Codice di Madrid II (talvolta identificato con le Antiquarie Prospettiche Romane).
Bisogna considerare che Leonardo non poté non conoscere i resti di mura, anfiteatri, strade e “tagliate” che punteggiavano il territorio della Toscana, così come non poté non aver visitato quelle raccolte di “anticaglie” presenti in tutti i palazzi delle nobili famiglie dell’epoca.