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Pieve di San Leonardo, Artimino

L’antica città etrusca di Artimino costituiva un punto di riferimento viario e strategico rispetto alla Valle dell’Arno e al Montalbano di Leonardo. L’esistenza della città, distrutta in epoca romana, continuò a essere confermata da resti di mura, di tombe e  reperti affioranti. Alcuni di questi erano stati inseriti nella struttura della pieve romanica di San Leonardo. Molte testimonianze si conservano nel Museo Archeologico Comunale intitolato a Francesco Nicosia: allestito dal 2011 entro le mura del castello medievale negli ambienti delle ex tinaie, conserva splendidi corredi funerari provenienti dalle necropoli di Prato Rosello e di Comeana, oltre a reperti originari dei nuclei insediativi etruschi di Artimino e Pietramarina. Il Museo fa parte del complesso del Parco Archeologico di Carmignano, insieme con quattro importanti siti etruschi del territorio circostante: la necropoli di Artimino a Prato Rosello, il Tumulo di Montefortini, quello di Boschetti a Comeana e l’insediamento di Pietramarina.
Una sezione distaccata del Museo, con reperti della ceramica di Bacchereto, è allestita nei sotterranei della chiesa di Santa Maria Assunta a Bacchereto, il vicino paese (nello stesso Comune di Carmignano) in cui la famiglia della nonna paterna di Leonardo possedeva una fornace "da orcioli" a Toia e dove egli presumibilmente iniziò la sua esperienza artistica.
Nei pressi di Artimino si trova la Golfolina, menzionata da Leonardo nel Codice Leicester (ff. 8v, 9r), che una tradizione popolare identifica con una “tagliata” etrusca. Anche se quest’ipotesi non è verosimile non bisogna dimenticare che sui colli di Grumaggio, proprio di fronte al Masso delle Fate e sopra le cave di pietra, si estendono la necropoli di Prato Rosello e i resti della città etrusca di Artimino.
Un’altra tradizione vuole che a “tagliare” la Golfolina, definita da Leonardo «sasso per antico unito co' Monte Albano in forma d'altissima argine», fosse Ercole Arameo, discendente di Noè e padre di Thuscus, da cui deriverebbe il nome della regione. Questo mito è riportato, nel 1497, da Giovanni Nanni (Annio da Viterbo) nel suo Antiquitatum variarum libri, in cui l’autore sosteneva di aver ripreso la notizia da testi di Beroso il Caldeo.

A cura di
Alessandro Vezzosi, con la collaborazione di Agnese Sabato
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