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Sant’Ansano in Greti

Il toponimo santosano che Leonardo appone sulla mappa RL 12685 di Windsor al disegno di una piccola emergenza posta sul versante meridionale del Montalbano, poco al di sotto dei castelli di Vinci e Vitolini, si riferisce alla pieve romanica di Sant’Ansano in Greti. La chiesa ha origini ben più antiche: dall’Alto Medioevo il suo territorio plebano raggiungeva i confini della diocesi di Pistoia che allora arrivava quasi fino all’Arno. Greti è il nome con cui si indicava, a quel tempo, la parte mediana del versante del Montalbano che si estende dalla Castellina presso Capraia fino a Cerreto Guidi. Sant’Ansano veniva chiamata semplicemente “la pieve di Greti” quando, a metà del Duecento, compare chiaramente come parte dei possessi dei conti Guidi.

La prima notizia della chiesa risale alla fine del X secolo quando fra le pievi più antiche del vescovado di Pistoia si elenca anche la plebs in Creti. A quel tempo questo territorio plebano rappresentava una delle porzioni più periferiche della vasta diocesi pistoiese fra cui quella in partibus Greti. La pieve era intitolata in origine a San Giovanni Battista, molto frequente nelle chiese battesimali. La dedicazione della chiesa di Greti a Sant’Ansano risale probabilmente ai primi del secolo XII. È dopo il 1170, infatti, anno della traslazione del corpo del santo all’interno del Duomo di Siena -città che la tradizione voleva evangelizzata proprio dal martire romano vissuto tra l'ultimo quarto del III e gli inizi del IV secolo d.C.- che si diffonde il culto del santo. Parallelamente accrebbe la disponibilità delle reliquie di Sant’Ansano e del relativo commercio che in questo caso poteva aver seguito il tracciato viario della Francigena, da Siena alle pendici del Montalbano. È dunque l’inizio del secolo XII il momento in cui si può far risalire la ricostruzione della chiesa in forme romaniche, come si può osservare in alcune parti dell’edifico della chiesa ancora oggi visibile lungo la strada che da Collegonzi arriva fino a Vitolini e Faltognano.
Dell’edificio attuale solo il lato lungo visibile sull’esterno della chiesa permette di figurare quella che fu un tempo la pieve romanica di Sant’Ansano. Il bellissimo paramento in blocchi squadrati di arenaria grigia si può far risalire, infatti, al momento della riedificazione della chiesa avvenuta probabilmente con l’arrivo delle reliquie di Sant’Ansano e della nuova intitolazione. Il tipo di lavorazione dei conci e la particolare posa in opera, che mostra una singolare padronanza della tecnica costruttiva e quindi la presenza, in loco, di maestranze specializzate, trova confronti con analoghe strutture del romanico toscano databili fra la fine dell’XI secolo e l’inizio del XII, collocando la pieve di Greti fra le più precoci di questa stagione costruttiva. Si osservano sul paramento particolari costruttivi e tecnologici davvero singolari, come per esempio il taglio dei conci con facce a vista di forma trapezoidale. La perfetta aderenza dei conci tagliati in forma non esattamente parallelepipeda, eseguiti sicuramente a piè d’opera da magistri scalpellini, è prova di un sapere tecnico di alto livello. Su questa parete, il lato lungo settentrionale, si apre un portalino con arco a tutto sesto, posizionato sulla parte prossima alla facciata attuale. Il portalino è originale, della stessa fase del lato lungo, tuttavia si trova in una posizione non centrale a causa dell’arretramento della facciata avvenuto fra XIV e XV secolo. L’edificio attuale, che mantiene comunque l’impianto basilicale a tre navate e la facciata a salienti, è stato chiaramente rimodulato nel volume che è oggi molto inferiore a quello della chiesa originaria. La pieve romanica era infatti molto più grande e la facciata doveva arrivare in prossimità della strada attuale, coprendo l’intero spazio del sagrato odierno. Le tracce di questa radicale trasformazione si possono vedere anche all’interno della chiesa, nelle due colonne della navata maggiore che si trovano ora inglobate nel prospetto interno della facciata ricostruita in posizione arretrata. All’interno, la serie dei capitelli scolpiti che sorreggono le ampie arcate della navata centrale costituiscono un notevole nucleo di elementi scultorei di XII secolo.
Alla metà del Duecento la pieve risulta parte dei possessi di questa famiglia comitale che controllava il territorio di Greti da quasi due secoli. Nella serie dei documenti della cessione alla città di Firenze dei possessi dei conti Guidi ci sono anche le quote della plebs de Greti. L’edificio era ancora la stessa ampia basilica a tre navate realizzata in pietra arenaria ben squadrata dell’impianto romanico. Con la cessione a Firenze cominciava un’altra stagione per la chiesa e per il popolo della pieve di Sant’Ansano che subirono le conseguenze della politica espansionistica della città su questo versante del Valdarno Inferiore. È in questo contesto che si inserisce sicuramente il danneggiamento della chiesa e la sua ricostruzione in forme ridotte. La nuova facciata, sempre a salienti, era dotata di un’apertura al di sopra del semplice portale centrale, con archivolto estradossato e lunetta tamponata. Una traccia in positivo del passaggio sotto la città di Firenze si può riconoscere nell’unica opera di pittura trecentesca conservata. Si tratta di una piccola tavola eseguita attorno alla metà del Trecento che raffigura Sant’Ansano tra due angeli. È attribuita a Puccio di Simone, uno dei più interessanti artisti della seconda generazione della pittura fiorentina del Trecento, attivo a Firenze e a Pistoia fra il 1346 e il 1362. La piccola tavola si trova oggi sul fondo della navata minore destra.
Quando Leonardo riportò sulla famosa veduta a volo d’uccello del Montalbano (RL 12685 di Windsor) il piccolo schizzo della pieve di santosano doveva avere davanti un edificio diverso dalla grande chiesa romanica che aveva governato il territorio ecclesiastico di Greti durante i secoli centrali del Medioevo. Il volume dell’edificio, infatti, era stato ridotto di un bel po’ nel corso del Trecento, e poi, quando la pieve passò alle dipendenze della Certosa del Galluzzo di Firenze nel 1478, venne ulteriormente modificata. Con l’arrivo della comunità dei monaci la chiesa doveva essere rinnovata per questioni di ordine liturgico. Sull’esterno venne realizzato un ampio porticato con tettoia a padiglione che poggiava su volte a crociera di cui rimangono i peducci inseriti nella facciata. La lunetta del portale, dotato di un nuovo architrave modanato, venne ornata dall’affresco raffigurante La Vergine e il Bambino fra i santi Giovanni Battista e Ansano. All’interno, di fianco al portale d’ingresso, Leonardo avrebbe potuto vedere il bel fonte battesimale esagonale in marmo lavorato a baccellature attribuito a Baccio da Montelupo. Alla fine del Cinquecento la parte tergale dell’edificio venne modificata per motivi di ordine liturgico: l’abside originaria semicircolare venne sostituita dalla scarsella che definisce oggi il coro. Un’immagine della pieve di Greti risalente a questo periodo è quella che troviamo disegnata nella pianta dei Capitani di Parte Guelfa che riporta il toponimo S. Giovanni in Greti et detto S. Sano. Il disegno è certamente stilizzato tuttavia presenta alcuni dettagli interessanti come l’impianto basilicale a tre navate della chiesa, che vediamo di tre quarti, con la facciata a salienti e un piccolo campanile a vela. Sopra il portale centrale si vede la finestra oggi sostituita dall’oculo e non vi è traccia del portico, forse non più in piedi alla fine del Cinquecento. È questo, a grandi linee, l’aspetto che doveva avere la pieve di Greti al tempo di Leonardo.
Nel tardo Seicento la realizzazione della cappella della Compagnia del Paradiso, che venne addossata al fianco settentrionale della chiesa, ne alterò radicalmente l’aspetto esterno. Anche la facciata venne fortemente alterata con la realizzazione dell’ampio loggiato su pilastri e del campanile che si vedono ancora nelle foto dei primi del Novecento. La distruzione del loggiato e del campanile dovuti al passaggio del fronte di guerra del 1944 crearono l’occasione per un progetto di restauro della pieve (Morozzi) volto al ripristino della fase romanica. In quest’ottica le decorazioni e l’arredo liturgico del periodo barocco furono completamente smantellati. La Cappella della Compagnia fu definitivamente demolita in modo da riportare alla luce il fianco settentrionale della chiesa romanica e il portalino laterale, con semplice architrave e arco a tutto sesto in conci di pietra squadrata. Venne invece ricostruito il campanile seicentesco nella stessa posizione, di fianco alla chiesa. All’interno dell’edificio sono conservati i dipinti che ornavano due dei perduti altari della chiesa seicentesca: la Liberazione di sant’Alessandro dal carcere, del pittore senese Rutilio Manetti (1626), e il dipinto che rappresenta i Santi Antonio da Padova, Bruno e Filippo Neri attribuito a Giovanni Gargiolli, pittore probabilmente sanminiatese della bottega di Mario Balassi. Il ciborio in marmo a forma di tempietto a pianta esagonale che si vede sul fondo della navata minore sinistra risale invece al Cinquecento ma la cupoletta in legno dorato è un rifacimento del secolo scorso.
A cura di
Silvia Leporatti
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