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Collegonzi

Il borgo disegnato da Leonardo e contrassegnato dal toponimo Collegonzi si trova nella mappa RL 12685 di Windsor poco a sud delle pendici del Montalbano che ospitano i castelli di Vinci e Vitolini, a breve distanza da una delle profonde anse dell’Arno. Si tratta dell’antico castello di Collegonzi che apparteneva, come i vicini castelli valdarnesi di Vinci, Cerreto e Orbignano, alla potente casata dei conti Guidi. Leonardo conosceva molto bene questa parte del Montalbano dove aveva potuto osservare i depositi geologici di origine marina e le conchiglie fossili, i “nichi”, di cui tratterà a lungo nel Codice Leicester.

La prima menzione di Collegonzi risale all’anno 1164. Si tratta del diploma che elenca i beni confermati dall’imperatore Federico Barbarossa al conte Guido VII Guerra, della potente casata comitale dei Guidi. Fra i numerosi castelli del Valdarno Inferiore viene rammentato Collegonçoli. Questo castello faceva parte di un vasto sistema di centri fortificati che punteggiavano le pendici meridionali del Montalbano. I conti Guidi, infatti, erano presenti in questa zona almeno dal secolo precedente. Alla fine dell’XI secolo possedevano già in partibus Greti – così veniva chiamato anticamente il versante meridionale del Montalbano – i castelli di Larciano, Cerreto e Vinci, mentre ai primi del secolo successivo acquisirono anche Massarella, Musignano e Colle di Pietra. Sull’altro versante dell’Arno, invece, oltre a promuovere la rifondazione del castello di Empoli avevano acquisito anche Monterappoli e Granaiolo. Questo sistema di castelli posti sui due versanti dell’Arno controllava la serie di vie d’acqua e di terra che si intrecciavano proprio in questa zona. Il castello di Collegonzi, in posizione strategica, doveva essere ben munito, difeso da un muro di cinta con ripe e fossato attorno: circumdata sunt aut ripis aut muris aut foveis. All’interno delle mura doveva trovarsi anche la chiesa castellana di Sancte Marie de Collegonçi. Questo era l’aspetto di Collegonzi alla metà del Duecento. La descrizione dell’abitato, della chiesa e delle difese del castello risale infatti al ben noto atto di vendita del 1254 con cui i conti Guidi cedono a Firenze gran parte dei loro possessi in partibus Greti.
Alla metà del Duecento il castello di Collegonzi si trovò coinvolto nella crisi che aveva investito il casato dei conti Guidi. La città, approfittando delle difficoltà economiche e dinastiche in cui versavano alcune delle più potenti casate del territorio, ne otteneva il controllo attraverso l’acquisto di grosse quote di possesso. I conti Guidi arrivarono a vendere a Firenze tutte le quote loro spettanti di molti dei castelli del Montalbano fra cui il castello e la chiesa de Collegonçi., oltre ai diritti sugli uomini e sulle principali vie di comunicazione. Ai primi del Trecento il piccolo castello entrò definitivamente nei quadri dell’amministrazione fiorentina. Secondo una provvisione del Comune di Firenze datata 1331 la comunità di Collegonzi doveva occuparsi, assieme a quelle di Empoli, Cerreto e Vinci, della manutenzione di una strada che dal mercatale di Empoli conduceva nella zona di Greti. Questa strada doveva passare attraverso le circoscrizioni territoriali di quelle comunità e ciascuna per la propria parte aveva l’obbligo di tenerla in buono stato. I comuni rurali erano tenuti, infatti, alla gestione delle infrastrutture periferiche principali per conto del comune di Firenze. Sia le strade che le fortificazioni di questa zona avevano a quel tempo una funzione strategica di notevole importanza poiché spesso teatro della guerra che oppose Firenze a Lucca.
Nel corso di tutto il Trecento l’area di Greti fu teatro di guerra. Collegonzi funzionava al tempo, sotto Firenze, come fortezza-rifugio per la popolazione delle campagne durante i periodi resi insicuri dal passaggio di gruppi di armati. In quegli anni le milizie al seguito dei lucchesi percorrevano l’intero Valdarno. Penetrarono in Valdinievole e giunsero fino alla zona di Greti, dove nel 1315 attaccarono anche il castello di Collegonzi che fu messo a ferro e fuoco. Le sue difese in occasione di questi avvenimenti subirono danneggiamenti seri ed è probabile che non siano state più ripristinate. Era infatti la Dominante, Firenze, che per motivi strategici decideva caso per caso quali fossero i punti forti da mantenere in efficienza e quali, invece, era divenuto controproducente tenere. Nella ricognizione degli ufficiali fiorentini delle Castella del 1366, infatti, Collegonzi non è menzionato fra i siti visitati e interessati da interventi di restauro all’apparato difensivo. Il piccolo abitato di Collegonzi che Leonardo disegna nella famosa veduta a volo d’uccello RL 12685 di Windsor appare infatti come un agglomerato di edifici che, a differenza dei centri vicini, non sembra cinto da mura. È probabile che al tempo di Leonardo Collegonzi  fosse ormai un villaggio completamente aperto. Delle antiche mura del castello guidingo di Collegonzi, distrutte probabilmente durante la guerra fra Lucca e Firenze, non rimangono tracce visibili nell’abitato attuale. La chiesa di Santa Maria a Collegonzi si conserva in forme tarde risalenti ai secoli XVII-XVIII.
La famiglia da Vinci non aveva proprietà nella zona di Collegonzi tuttavia Leonardo possedeva un’ottima conoscenza di questa parte del Montalbano. Lo dimostrano le sue osservazioni riguardo all’origine delle stratificazioni geologiche della stretta della Gonfolina e le ampie riflessioni sulla presenza dei fossili di origine marina nei dintorni dei Collegonzi, i famosi “nichi” rammentati nei codici leonardiani. Gli ampi brani dedicati all’argomento, raccolti in diverse carte del Codice Leicester, ruotano sostanzialmente attorno alla teoria che i diversi strati geologici che egli osservava nella valle dell’Arno fossero dovuti all’azione del mare antico che nelle ere più remote arrivava fino alla Golfolina, dove riceveva le acque dell’Arno. Secondo Leonardo il movimento delle acque marine modellava il materiale litico che i fiumi scaricavano nell’antico mare dando origine a strati geologici di diversa composizione, dai più grossolani ai più fini: la “ghiara minuta”, la “rena” e infine il “fango”. Il ritirarsi delle acque del mare pliocenico doveva aver lasciato i depositi più grossolani e pesanti lungo le rive antiche poste più a monte e quelli più fini e leggeri lungo le rive poste più a valle. Leonardo osserva e spiega in questo modo la presenza di “sassi grandissimi” e “ghiara” intorno a Montelupo e Capraia, la “rena”, ancora più fine, verso Castelfiorentino, infine il “fango”, il più sottile e leggero, a Collegonzi (Codice Leicester f. 6A-31v; 8B-8v). E qui si innesta la teoria leonardiana dei “nichi” di Collegonzi, le conchiglie fossili che egli vedeva in gran quantità all’interno dei depositi di “fango”, cioè gli strati geologici più sottili che un tempo formavano il fondo del mare pliocenico. L’innalzamento del fondo del mare e poi il suo prosciugamento avevano dato origine, per Leonardo, a quella formazione particolare composta da strati alternati di fango azzurrognolo e “nichi” che egli aveva osservato in modo particolare a Collegonzi. Così scrive: “il fango, nel quale abitava i nichi, il quale s’inalzava a gradi, secondo che le piene d’Arno torbido in quel mare versava, e di tempo in tempo s’inalzava il fondo del mare, il quale a gradi producea essi nichi, come si mostra nel taglio di Colle Gonzoli […]”(Codice Leicester f. 8B-8v). Ai piedi di Collegonzi l’azione erosiva dell’Arno doveva aver esposto, secondo lui, una sezione geologica, il “taglio di Colle Gonzi, deripato dal fiume Arno, che il suo piede consuma: nel quale taglio si vede manifestamente li predetti gradi de’nichi in fango azzurreggiante, e vi si trova di varie cose marine […]” (Codice Leicester f. 8B-8v). Fino a pochi anni fa era presente a Collegonzi una cava di argilla con la stratificazione pliocenica contenente i livelli a conchiglie di ambiente marino costiero osservati e descritti da Leonardo.
A cura di
Silvia Leporatti
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