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L'Arno a Pisa

Le carte dei dintorni di Pisa e Livorno confermano che Leonardo non solo utilizzava la cartografia preesistente ma procedeva nella perlustrazione e nell’osservazione diretta del territorio: paesaggi dal vero (in particolare dei Monti Pisani), misurazioni delle distanze, studi di orientamento, caratteri degli insediamenti, resi spesso con schizzi stenografici, studi non convenzionali nei riferimenti all’idrografia del "pian di Pisa".
Naturalmente una carta come RLW 12683, con 100 toponimi, è una ricomposizione non immediata in cui confluiscono studi e ricognizioni compiuti in tempi diversi, spesso con indicazioni semplificate in stereotipi; talvolta si rilevano invece dettagli interessanti. Nel Codice di Madrid II, ai fogli 52v-53r, lo studio più ravvicinato (anche se privo di raffigurazioni di paesi) dei dintorni di Pisa, Leonardo offre notizie importanti sull’assetto idrografico del territorio prima degli interventi granducali, medicei e lorenesi, effettuati fra XVI e XVIII secolo.
La cartografia e le raffigurazioni risultano meno imprecise e più dettagliate nei casi in cui maggiore era per Leonardo l’interesse progettuale e strategico, come ad esempio in funzione di quella deviazione dell’Arno, pensata ai danni di Pisa, alla quale egli lavorò nei primi anni del Cinquecento.

Il 24 luglio 1503, Francesco Guiducci scrisse dal "Campo contro Pisa" alla "Balia di Firenze" per riferire come, il giorno precedente, Leonardo Da Vinci, con Alessandro degli Albizi, avesse illustrato a lui e al governatore il "disegno" del progetto per deviare le acque dell’Arno da Pisa: «Dopo molte discussioni et dubji conclusesi che l’opera fussi molto ad proposito», perché nella peggiore delle ipotesi sarebbe stata comunque utile per difendere le colline.
E così, il 26 luglio, la Signoria di Firenze deliberava di rimborsare 56 lire e 13 soldi a Giovanni Piffero: «Spexi in vetture di 6 chavalli e spese di vitto per andare chon Lionando da Vinci a livellare Arno in quello di Pisa, e levallo dal letto suo». Lo stesso Giovanni Piffero fu con Leonardo e altri artefici (dal Botticelli al Perugino, da Lorenzo della Volpaia ai Della Robbia e ai Sangallo) fra i consulenti per la collocazione del David di Michelangelo il 25 gennaio 1504. Collaborò, inoltre, con Leonardo per realizzare in Palazzo della Signoria il ponte mobile per dipingere la Battaglia d’Anghiari nel 1505, ed è pure ricordato per aver fornito i colori di quella grande pittura murale.
Soderini e Machiavelli riuscirono, il 20 agosto del 1504, a decretare l’inizio dei lavori «circha el voltare Arno alla torre ad Fagiano», per la costruzione di una diga che ostruisse il fiume e lo deviasse lontano da Pisa in due canali, fino allo Stagno di Livorno, verso il mare (Landucci: «e al dì 22 d’agosto 1504, si mise mano a volgere Anno a Livorno»).
Sembra verosimile che l’opera di deviazione verso lo Stagno fosse intrapresa (con «1000 marraioli») nella direttrice indicata nel Codice di Madrid II (f. 52v) con "rotta d’Arno", all’ultima ansa del fiume prima di Pisa, subito dopo "Rignone". Questa località sarebbe da identificare con quella di Riglione, dove le milizie fiorentine si accamparono per proteggere lo scavo, come già aveva suggerito lo storico Mario Baratta che però non potè avvalersi della carta ritrovata solo nel 1966 nel Ms. 8936 (52v-53r) della Biblioteca Nazionale di Madrid.
Quando, dopo il 26 ottobre di quello stesso anno, si fece evidente il fallimento dell’impresa, Soderini e Machiavelli furono accusati di avere sopravvalutato un "ghiribizzo" (Guicciandini), «un’idea assai infelice nella quale s’erano riscaldati stranamente, contro il parere delle persone più competenti» (Villani), «ma il fiume si rise di chi gli volea dar legge» (Muratori).
Indubbiamente la polemica sul "ghiribizzo" era diretta in primo luogo contro Leonardo che a parole aveva fatto sembrar possibile un’impresa tutt’altro che semplice nei fatti. Lo stesso Vasari scrisse, infatti, che «col disegno delle mani sapeva si bene esprimere il suo concetto, che con i ragionamenti vinceva e con le ragioni confondeva ogni gagliardo ingegno. E ogni giorno faceva modegli e disegni da potere scaricare con facilità monti, e forargli per passare da un piano a un altro... e modi da votar porti, e trombe da cavar de’ luoghi bassi acque, che quel cervello mai restava di ghiribizzare». D’altro canto l’idea di isolare Pisa deviando il fiume era strategicamente ineccepibile, come sottolineano gli storici, tra cui il Baratta. Quando la via dell’Arno fu sbarrata dalle galere del Bardella, corsaro genovese, assoldate per impedire il transito fluviale dei rifornimenti, Pisa si trovò infatti in gravi difficoltà. La stessa caduta della città, avvenuta nel 1509, fu resa possibile solo grazie alla ostruzione mediante palafitte sia dell’Arno che del Fiume Morto, opera questa progettata da Antonio da Sangallo (compagno di Leonardo a Piombino). Resta di estremo interesse la corrispondenza tra Machiavelli e il cantiere di Pisa, con moltissime istruzioni tecniche certamente suggerite da Leonardo.
Di grande interesse i documenti e le fonti ricordate dal Repetti nel suo Dizionario geografico e storico della Toscana, utili a meglio comprendere gli obiettivi di un’impresa così geniale e innovativa:
«In questo stesso periodo tentarono i Fiorentini niente meno che di deviare per intiero l'Arno da Pisa onde portare in quel popolo maggior desolazione. Scavaronsi a tale oggetto due profondi e larghi canali presso la torre di Fasiano (quattro miglia sopra la città) nelle mira d'introdurvi le acque dell'Arno e di là dirigerle al mare per la via di Coltano e di Calambrone. Al qual uopo venne costruita sul letto del fiume una gran diga, dove erano già state impiegate 8000 opere quando sopraggiunse una piena che rovesciò la diga, colmò i lavori, e fece sì che i Fiorentini dovessero rinunziare ad un progetto troppo azzardato. Riferisce poi specialmente al fatto medesimo di voltar l'Arno a Fasiano una lettera dal commissario Francesco Guiducci diretta lì 24 luglio 1503 ai Dieci di Balìa dal campo di Pisa, colla quale informò quel magistrato di guerra di esservi stato con Alessandro degli Albizzi, uno dei Dieci di Balìa, con l'ingegnere Leonardo da Vinci e con altri, fra i quali il governatore; e che veduto il disegno, dopo varie discussioni si concluse, essere quell'opera molto a proposito, o si veramente Arno volgersi qui, o restarvi con un canale, per cui almeno si vieterebbe che le colline dai nemici non potessero essere offese. Non meno importanti a illustrare la storia dell'ultimo assedio di Pisa sono le lettere seguenti: due delle quali scritte dal commissario Antonio Giacomini ai Dieci di Balìa sotto dì a 2 e 3 giugno 1504. In esse si dà avviso qualmente era giunto al campo contro Pisa la mattina stessa del 2 giugno Antonio da Sangallo, il quale di poi fu mandato a Librafratta col governatore per pigliar appunti come s'abbia a conciar cotesto luogo di Librafratta. Dopo l'inutilità di tanti tentativi i Fiorentini sospesero per qualche tempo le operazioni militari contro Pisa, ma non sospesero i maneggi politici accompagnati da offerte di oro per aver l'assenso dei re di Francia e di Spagna, i quali cominciavano a risguardare l'impresa de' Fiorentini contro Pisa come oggetto di speculazione finanziera. Trascorse così circa un anno, nel qual periodo di tempo i Fiorentini, avendo attirato al loro partito anco le repubbliche di Genova e di Lucca, si disposero a bloccare Pisa col sistema usato da Gino Capponi, cioè, di chiudere con navi e batterie le foci dell'Arno, del Serchio e del Fiume Morto, e di stabilire tre campi trincerati, cioè, a S. Piero in Grado, per la parte d'Arno, a bocca di Serchio per la parte di mare, a Mezzana e a Ripafratta, per la parte del monte, senza tralasciare d'inviare altre colonne mobili a custodire nelle campagne tutte le vie dalle quali potevasi vettovagliare la città.
Per tal modo i Pisani stretti da ogni lato, indeboliti da lunga guerra, privi di ogni genere di sussistenza e dalla fame estenuati, dopo aver sostenuto con costanza e coraggio 14 anni e mezzo di guerra, sentirono con gran pena avvicinarsi l'ora fatale di dover cedere alla necessità e darsi per vinti in potere di odiatissimi nemici. Le condizioni della capitolazione furono stabilite nel 4 giugno 1509 alla presenza dei Dieci di Balìa e di Niccolò Machiavelli segretario della Repubblica, ratificate il giorno dopo dalla Signoria. Esse contenevansi in 48 capitoli, nei quali si trattava anche della restituzione ai Pisani fuorusciti, niuno eccettuato, di tutti i loro beni e rendite arretrate, delle franchigie relative al commercio e manifatture pisane e di altre esenzioni di tasse e gabelle che anteriormente al 9 novembre 1494 erano state ai Pisani dal Comune di Firenze concedute.
Dopo concluso tutto ciò, l'esercito degli assedianti nel dì 8 giugno del 1509 entrò pacificamente in Pisa, fra quella popolazione taciturna, avvilita ed estenuata.»
A cura di
Alessandro Vezzosi, con la collaborazione di Agnese Sabato
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