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Androne Ciofi

Il paese di Vinci conserva la traccia dell’impianto urbanistico che aveva al tempo di Leonardo. Fra le strade e le piazze del castello e del borgo si possono rintracciare piccoli frammenti della vita di Leonardo e della sua famiglia. Uno dei più singolari è l’edificio che si trova attualmente di fianco all’attuale Androne Ciofi, il passaggio coperto che conduce alla strada per San Pantaleo. Le ricerche d’archivio e il confronto con i catasti storici hanno consentito di riconoscere in questo edificio l’osteria che prese in affitto Giovanni, uno dei fratelli minori di Leonardo da Vinci. L’osteria si trovava all’inizio della strada per il Montalbano. Sulla stessa strada ma più avanti, all’altezza di Anchiano, nel complesso del podere acquistato dal padre di Leonardo risulta appena “principiata”, in via di ristrutturazione, una “chasa da oste”.

Il padre di Leonardo, il notaio Piero di Antonio da Vinci, ebbe quattro mogli poiché la prima, Albiera di Giovanni Amadori, che sposò l’anno in cui nacque Leonardo, e la seconda, Francesca di ser Giuliano Lanfredini, morirono precocemente e senza lasciare figli. Dall’ultimo matrimonio, con Lucrezia di Guglielmo Cortigiani, Ser Piero ebbe quattro figli di cui l’ultimo, Giovanni, nacque a Firenze nel 1498 ma, come molti degli altri fratelli di Leonardo, visse tutta la sua vita a Vinci. Le famiglie dei fratelli di Leonardo di cui è stato possibile ricostruire la discendenza risultano radicati per generazioni nei dintorni di Vinci. Sappiamo ad esempio che il fratello Domenico si sposò e visse ad Orbignano, nel podere della Costereccia, una delle possessioni più sostanziose acquistate da Ser Piero, il padre di Leonardo. Un altro fratello di Leonardo, Guglielmo, si stabilì invece nella casa di Anchiano dove la sua famiglia abitò per due generazioni. Guglielmo aveva pochi anni più di Giovanni, il più piccolo dei fratelli di Leonardo. La stretta comunione di interessi fra questi due fratelli che risulta dai documenti fiscali (si trovano uniti insieme nella stessa portata catastale) induce a credere che abitassero nella stessa casa, cioè la casa di Anchiano, nel popolo di Santa Lucia a Paterno. I due fratelli furono iscritti per anni alla Confraternita della Compagnia dello Spirito Santo: mentre Guglielmo fu in diverse occasioni “priore” di quel pio sodalizio, il fratello minore Giovanni risulta essere stato eletto assieme ad altri confratelli alla carica di “festaiolo” nel 1535. E almeno dall’anno precedente Giovanni aveva in gestione l’osteria e beccheria dei Ridolfi che si trovava nel borgo del castello.
La portata catastale di Messer Lionardo di Bernardo di Lorenzo Ridolfi dell’anno 1534 mostra senza ombra di dubbio che la “chasa ad Uso dosteria e beccheria posta nel chomune di Vinci insulla piazza del mercatale” era già stata data in affitto a Giovanni di Ser Piero da Vinci per due fiorini all’anno. L’edificio esisteva già da tempo, almeno dal 1480 quando però è registrata dal proprietario di allora come semplice abitazione. Nel giro di qualche decennio la casa deve essere stata ristrutturata per aumentarne il valore. Infatti al momento della vendita era già stata trasformata in osteria-beccheria e già data in affitto al fratello di Leonardo. Come visto, venne acquistata dai Ridolfi, una delle famiglie fiorentine che avevano cominciato ad investire i loro capitali nelle campagne attorno alla città. I Ridolfi possedevano diverse proprietà sia nel castello che nei dintorni di Vinci: fra queste, il mulino della Doccia, posto subito fuori del castello, lungo la strada che porta sul Montalbano, e la tenuta del Ferrale, poco prima di Anchiano. Le numerose piante dei Capitani di Parte Guelfa relative al territorio della comunità di Vinci mostrano le campagne vinciane punteggiate dalle case, dai poderi e dai mulini di questa famiglia. Il locale ad uso “osteria e beccheria” del borgo di Vinci dato in gestione al fratello di Leonardo rimase di proprietà dei Ridolfi fino al 1640 quando con il matrimonio della nipote del senatore Raffaello Ridolfi passò alla famiglia dei Da Bagnano. Infine, con l’estinzione della casata nel 1773, l’edificio entrò a far parte delle proprietà Masetti.
L’osteria presa in affitto del fratello di Leonardo corrisponde alla casa che si trova oggi sulla Piazza Leonardo da Vinci ai numeri 22-24, di fianco al passaggio voltato dell’Androne Ciofi. Lo stesso edificio è chiaramente riconoscibile sul dettaglio del castello di Vinci disegnato in una delle mappe dei capitani di parte Guelfa della fine del Cinquecento. Nel disegno l’ultimo edificio del borgo, lungo la strada che costeggia la ripa occidentale del castello, è indicato come osteria. Di fianco si riconosce il piccolo arco dell’Androne Ciofi da cui parte la strada che conduce a San Pantaleo. Dopo l’ultimo edificio del borgo, che al tempo era l’osteria dei Ridolfi, si distinguono perfettamente la gora e il mulino del comune, anch’esso gestito dalla famiglia di Leonardo. In sostanza, dunque, il più piccolo dei fratelli di Leonardo, che probabilmente abitava con il fratello più grande Guglielmo nella casa di Anchiano, aveva in gestione l’osteria-beccheria dei Ridolfi, situata in posizione strategica rispetto alla strada per il Montalbano. Per chi proveniva da Anchiano l’osteria si trovava proprio all’inizio del borgo di Vinci. Per coloro che dal fondovalle empolese dovevano proseguire a settentrione i locali dell’osteria erano l’ultimo punto di sosta e ristoro del paese, prima di prendere la strada per i valichi del Montalbano. Nel quadro della gestione dell’osteria di Giovanni la mescita del vino poteva avvalersi della produzione dei vigneti di famiglia mentre la produzione di carne della beccheria andava a finire sicuramente in parte nel servizio di ristoro, oltre che alla vendita al dettaglio. L’attività della beccheria doveva essere notevolmente agevolata dalla presenza in loco delle acque della gora del mulino -gestito a quel tempo dalla famiglia da Vinci- e del fosso di scarico sottostante. Il ciclo della lavorazione delle carni da macello necessitava, infatti, di una grande quantità di acqua corrente. Giovanni possedeva, fra l’altro, anche i due appezzamenti di terreno “dietro al fosso”.
A cura di
Silvia Leporatti
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