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Mulino della Doccia

Una delle carte del Codice Atlantico, la più vasta raccolta di testi e disegni di Leonardo, menziona un luogo familiare al vinciano: il molino della doccia di vinci (Codice Atlantico f. 765r.). Sulla carta Leonardo aveva disegnato parte del meccanismo idraulico di un mulino che doveva aver visto di persona nel paese natale e che si conserva ancora oggi nei pressi di Vinci. Il Mulino della Doccia ha infatti mantenuto il nome attraverso i secoli, al punto che non vi è alcun dubbio nell’identificare l’oggetto disegnato da Leonardo con l’opificio idraulico che si trovava poco sopra il castello di Vinci, lungo la strada per il Montalbano.

La carta leonardiana è datata agli anni 1506-1507, lo stesso periodo in cui realizzò anche i tre disegni relativi al progetto di uno sbarramento per la creazione di un invaso nelle vicinanze di Vinci. In questi anni Leonardo si trovava probabilmente a Milano ma non era passato molto tempo dal suo soggiorno valdarnese che lo aveva visto impegnato nella messa a punto del mirabolante progetto di un canale navigabile alternativo all’Arno che collegasse Firenze al mare (RL 12685 di Windsor, anno 1503). Le conoscenze da lui maturate nei diversi ambiti del sapere tecnico che coltivò devono molto al talento che aveva nel far tesoro dell’osservazione diretta. Le carte topografiche realizzate nel periodo passato a studiare, percorrendola, la valle dell’Arno, di cui Leonardo conosceva molto bene i dettagli orografici e topografici, sono la prova dello spiccato carattere empirico del suo sapere. Allo stesso modo lo è il disegno delle parti meccaniche del molino della doccia che aveva visto chissà quante volte da giovane vicino alle mura del castello di Vinci e di cui appunta il nome di fianco allo schizzo.
Un’ altra carta dello stesso codice in cui si trova disegnato il meccanismo del Mulino della Doccia di Vinci, datata agli stessi anni, riporta un originalissimo studio sulla forza dell’acqua che impatta le pale di una ruota idraulica (Codice Atlantico 556 r). Sulla tavola sono disegnate quattro diverse posizioni del fiotto d’acqua rispetto alla ruota, con conseguente calcolo della forza – massima e minima – prodotta. Dunque un vero e proprio prontuario per il calcolo delle forze da utilizzare nella progettazione di ruote idrauliche, basato in particolar modo sull’inclinazione del getto d’acqua. Il principio lo si trova enunciato con grande chiarezza in un passo di una carta del Codice Arundel che sottolinea la necessità di dirigere il getto d’acqua in posizione tangente alla ruota idraulica per azionarne il movimento: “inpossibile è che alcuna potenzia che priema perpendicularmente dal cerchio verso il centro della rota, faccia mai voltare essa rota” (Codice Arundel f P 55r). Il principio leonardiano, che in questo caso colmava una lacuna fondamentale dell’impostazione degli studi dei suoi predecessori, si basava in gran parte sull’esperienza. Lo dimostra il disegno del meccanismo di una ruota idraulica realizzato attorno agli anni 1478-1480 dove il getto dell’acqua è orientato da due mantici in modo da giungere sulla ruota in posizione tangente ad essa (Codice Atlantico 46 r). Leonardo deve aver sperimentato di persona il calcolo delle forze applicato al caso della ruota di un mulino idraulico dandone poi forma di principio. Proprio nel 1478 Leonardo era tornato a Vinci per presenziare alla stipula dell’atto con cui veniva concesso in perpetuo alla sua famiglia la gestione del mulino del comune che si trovava nel borgo ai piedi del castello. Per Leonardo, che aveva vissuto fino alla prima giovinezza nella casa paterna del borgo del castello, i mulini che punteggiavano la sua terra dovevano essergli assai familiari. Dal borgo poteva prendere la via per il Montalbano lungo la quale correva il goraio, il canale d’acqua che a quel tempo alimentava il Mulino della Doccia prima di dirigersi verso il castello e gli opifici del borgo di Vinci. La pianta dei Capitani di Parte Guelfa relativa al castello di Vinci disegnano in modo chiaro il canale derivato dal rio che scende da settentrione fino ad alimentare l’opificio segnato come mulino della doccia dei ridolfi. Nella seconda metà del Cinquecento il mulino disegnato da Leonardo apparteneva con certezza a questa famiglia di origine fiorentina che aveva anche diversi possessi nella zona di Anchiano, il Ferrale (ferale dei ridolfi) e diversi mulini sul rio di Balenaia-Vincio. La zona di Anchiano era posta a cavallo di due delle valli più ricche di opifici idraulici della zona, la forra del rio di Balenaia e quella di Querceta, detta Vallebuia, dove la famiglia da Vinci aveva la maggior parte dei poderi.
Nelle campagne di Vinci Leonardo aveva potuto osservare il funzionamento dei tanti mulini e dall’esperienza trarre le informazioni che poi vediamo tradotte in principi, come per esempio nei fogli dedicati al calcolo della forza applicata alla ruota di un mulino in relazione alla direzione di azione della forza stessa. Doveva aver avuto modo di osservare anche il sistema di captazione delle acque che alimentavano il mulino. Il sistema è ben rappresentato nella pianta tardo-cinquecentesca dei Capitani di parte Guelfa relativa al castello di Vinci. Poco a nord del castello si vede un canale alimentato dal corso d’acqua corrispondente all’attuale rio di Querceta, al tempo il rio Castellano, che prosegue verso la valle ad oriente di Vinci prima di confluire nello Streda. Il canale, invece, si dirige verso il castello e va ad alimentare il Mulino della Doccia. Prosegue poi lungo le mura sul lato di ponente dove raggiunge ed aziona gli opifici idraulici del borgo. Si tratta probabilmente del goraio, citato negli Statuti del 1412, un canale che godeva di una speciale tutela da parte delle istituzioni comunali. Il goraio di cui parlano gli Statuti è certamente il lungo canale che prendeva l’acqua all’altezza della pescaia di cui ancora si vedono i resti poco a nord del paese di Vinci, raggiungibile dal tabernacolo di Troscia dove una opportuna segnaletica indica la “pescaia del mulino della doccia”. Addentrandosi nella vegetazione si vede ancora ben conservato il manufatto in muratura che indirizzava le acque del fiume nel canale artificiale. Si tratta di una struttura in pietra a gradoni molto ben conservata, una tipologia di manufatto molto simile a quelle che Leonardo riproduce sovente nei suoi codici fin da quando ebbe modo di osservarle a Vigevano, al tempo in cui era impegnato al servizio degli Sforza. La pescaia del Mulino della Doccia di Vinci, recentemente resa fruibile al pubblico, è raggiungibile percorrendo la “Strada Verde”, un sentiero immerso nella campagna vinciana che collega il castello alla casa Natale di Leonardo ad Anchiano, uno dei programmi dei “Sentieri del Genio”.
Il primo disegno leonardiano di una “scala ad acqua” risale all’aprile del 1494 (manoscritto H di Francia, f. 65 v.) e rappresenta la struttura a gradoni tutt’ora visibile nei giardini della villa Sforzesca di Vigevano che regolamentava le acque a scopo irriguo e di bonifica. Più di dieci anni dopo, nel Codice Leicester, Leonardo rammenta più volte quel manufatto e lo fa proprio in relazione al modo di costruire le pescaie che eludesse, attraverso l’espediente dei “gradoni”, l’inconveniente dell’erosione del fondale a valle dello sbarramento: “ Ancora, se la infima parte dell’argine, trasversalmente opposto al corso delle acque, sarà fatta in potenti e larghi gradi, a uso di scala, l’acque, che nell’abbassamento del lor corso, soglian perpendicular mente cadere dal termine di tale infima sua bassezza, e dis[c]alzare i fondamenti d’esse argine, non potran più disciender con colpo di troppa valitudine; e lo esempro di ciò fo a me colla scala, onde cadea l’acqua de pradi della Sforzesca…” (Codice Leicester f. 21 r.). Ancora un’altra carta dello stesso codice ripropone il disegno della scala osservata a Vigevano mettendo l’accento in primo luogo sulla capacità che questa soluzione costruttiva aveva di derivare un corso d’acqua con chiuse in muratura senza l’inconveniente dell’erosione provocata dall’acqua nel punto di caduta (“Scala di Vigevine per la quale cada l’acqua e non consuma niente nell’ultima percussione”, Codice Leicester f. 32 r.). Infine, sempre dal Codice Leicester, nel foglio 22 r, al fianco della lunga digressione sul moto delle acque dei fiumi, un disegno raffigura il modo migliore con cui Leonardo raccomanda la costruzione dei gradoni di una scala d’acqua: “Adunque, non sia fatto, ne’ fiumi, lochi donde l’acque abbino a cadere se non in figura di gradi di scale, bene incastrate insieme a coda di rondine, incatenate; e si sopra ponghino forte l’una all’altra […] Dove l’acqua darà maggior percussione, si farà maggior nocimento nel suo obbietto; e però li gradi delle scale si confermano esser perfetti, come nell’anticedente conclusione fu provato”. La pescaia del Mulino della Doccia di Vinci, con la sua gradonata in muratura, rappresenta una indiscutibile “suggestione leonardiana”, immersa com’è nei luoghi che Leonardo ha realmente frequentato e, come nel caso del meccanismo molitorio della doccia, riprodotto su carta.
A cura di
Silvia Leporatti
Galleria fotografica
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