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Mulino del Comune, Vinci

Sul fondo della piazza Leonardo da Vinci, dove comincia la via che sale verso i valichi del Montalbano, si trovava l’antico mulino del castello divenuto poi, a seguito dell’entrata di Vinci entro i quadri dell’amministrazione fiorentina, il mulino comunale. La recente scoperta di un documento conservato nell’Archivio di Stato di Firenze ci dice che Leonardo si trovava a Vinci nel maggio del 1478. Lavorava già a Firenze nella bottega del Verrocchio e solo da pochi mesi aveva ottenuto la prima prestigiosa commissione pubblica: l’incarico di dipingere la pala d’altare della Cappella di San Bernardo in Palazzo Vecchio. Il breve passaggio nel paese natale fu richiesto dai suoi familiari che lo volevano presente alla stesura dell’atto con cui il comune di Vinci concedeva loro il mulino comunale. Il documento di locazione perpetua conteneva infatti una clausola che riguardava nello specifico Leonardo in quanto “figlio spurio”. Del mulino rimangono alcune tracce materiali in corrispondenza della vallecola che si affaccia sul botro di ponente, l’antico fossato del castello in cui si riversavano le acque della gora che alimentava il complesso di opifici idraulici del borgo di Vinci.

Il 3 maggio del 1478 il comune di Vinci redige il contratto di livello con il quale concede a Francesco di Antonio di ser Piero da Vinci pro se et aliis il mulino che si trovava ai piedi del castello. Francesco era lo zio di Leonardo, non era sposato e viveva nella casa di famiglia nel borgo di Vinci. La concessione costituisce la prima testimonianza del mulino comunale posto sulle ripe del borgo, nel punto da cui si usciva per prendere la strada in direzione del Montalbano. Anche Leonardo era presente alla stipula della concessione. È probabile che la famiglia avesse chiesto a Leonardo la sua presenza a Vinci in quell’occasione per via della clausola speciale inserita nel contratto che, nel caso di estinzione degli eredi legittimi, trattandosi di una concessione in perpetuum, avrebbe incluso i discendenti non legittimi. Per come andarono le cose questa premura della famiglia di Leonardo fu piuttosto effimera e la discendenza legittima del padre di Leonardo, come noto, molto numerosa. Dopo una ventina d’anni, nel 1497, il mulino del comune figurava ancora in capo allo zio Francesco.
Il mulino del comune di Vinci è citato per la prima volta negli Statuti del 1418. Al momento della stesura dell’atto di locazione ai da Vinci viene descritto con queste parole: “molendino dicti comunis cum foveo et goraio et aliis suis pertinentiis et situm ipsius molendini et pro edificando et ad conficiendum aliud molendinum sive factorium positum apud dictum castrum vincii in populo sancte crucis”. La concessione comprendeva l’uso del mulino, della gora che lo alimentava e del fossato di scolo. Tuttavia, com’era consuetudine, la concessione prevedeva un intervento di miglioramento del bene acquisito da parte del concessionario: nel caso specifico si auspicava la costruzione di un secondo opificio, mulino oppure frantoio, sempre in prossimità del castello. È possibile che la miglioria auspicata con la stipula del contratto a livello a favore dei da Vinci sia stata effettivamente realizzata. Almeno dal 1505 il comune di Vinci possiede sul fossato del castello un mulino ad un palmento “insulla ghora de fossi di Vinci” e un “fattoio da olio a acqua Apichato chol sopradetto mulino”. Se la realizzazione del frantoio sia davvero il rispetto della regola ad meliorandum del contratto di concessione del mulino pubblico alla famiglia da Vinci non è possibile sapere. Tuttavia ricordiamo che uno dei fratelli di Leonardo, Giovanni, ebbe in concessione almeno dagli anni ’30 del Cinquecento il locale adibito ad osteria e beccheria che confinava proprio con il mulino del comune. Lo schizzo del castello di Vinci disegnato dai Capitani di Parte Guelfa riporta i dettagli del sistema di canali che alimentava gli opifici idraulici di Vinci alla fine del Cinquecento. A nord del castello un lungo canale, il goraio, captava le acque del rio Castellano per alimentare in successione prima il mulino della Doccia, poco sopra il castello, e poi il mulino del comune, nel borgo. Il disegno riporta il flusso abbondante del goraio che scendendo dal fianco di ponente del castello arriva nella piazza del mercatale, la piazza del borgo, e da qui gira sulla sinistra in direzione della valle, affiancandosi all’ultimo edificio del borgo segnato come osteria. La gora sembra alimentare due opifici idraulici in successione, che potrebbero corrispondere al mulino del comune e all’altro opificio auspicato nell’atto di locazione del 1478 (aliud molendinum sive factorium).
I documenti d’archivio consentono di localizzare con esattezza il sistema degli opifici idraulici presi in concessione e gestiti dalla famiglia da Vinci a partire dal 1478. Si trovavano in fondo all’attuale piazza Leonardo da Vinci, l’antica piazza del mercatale, in corrispondenza del numero civico 1 di via del Montalbano. Da lì partiva anche allora la strada per Anchiano e poi per i valichi del Montalbano. Di fianco al mulino si trovava infatti l’osteria-beccheria di proprietà della famiglia fiorentina dei Ridolfi anch’essa presa in gestione da un membro della famiglia da Vinci. Giovanni di Ser Piero da Vinci, il più giovane dei fratelli di Leonardo, aveva preso in affitto il locale almeno dal 1534. È possibile che la vicinanza dei corsi d’acqua artificiali e naturali collegati alla struttura del mulino/frantoio abbiano favorito l’attività specifica della macellazione della carne della beccheria di Giovanni.
Il mulino del comune era ancora parte del patrimonio comunale che risulta dal Campione dei livelli della Comunità del 1829 e 1825 (casa del Fattoio). Il “Fattoio” comunale ottocentesco venne successivamente trasformato in lavatoio pubblico e in tempi recenti in bagni pubblici mentre la gora che scendeva dalla parte settentrionale dell’abitato fu interrata già nel 1825 per ampliare il tratto iniziale della via del Montalbano (Piazzale della Fiera). Alcuni ruderi del sistema delle gore sono ancora parzialmente visibili in corrispondenza dell’antico botro usato come fossato di scarico degli opifici idraulici.
A cura di
Silvia Leporatti
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