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Padule di Fucecchio

Come accade per ogni specchio d’acqua a carattere variabile, dovuto all’insieme dei fattori che di volta in volta ne hanno deciso l’allargamento o il restringimento, il Padule poteva essere risorsa ittica oppure agricola nel momento in cui l’interesse prevalente era volto all’ampliamento delle superfici coltivabili strappate alle acque. Di conseguenza la storia del Padule di Fucecchio segue quella delle politiche attuate dal Medioevo in poi per sfruttarne le diverse valenze. Se durante il Medioevo l’attività prevalente fu la prima, durante l’età moderna, anche se in modo altalenante, gli interventi pubblici furono rivolti ad abbassare il livello dell’acqua e ampliare le superfici coltivabili.

Sembra che il sistema delle aree umide costituito dai paduli di Fucecchio e Bientina abbia una origine relativamente “recente”, ovvero successiva al periodo antico. Le prime attestazioni documentarie risalgono all’Alto Medioevo, quando la zona era parte della diocesi di Lucca. L’alto numero di pievi sorte prima del Mille attorno alla vasta area palustre di Fucecchio, ben sei, è indice di un paesaggio densamente abitato. Erano la pieve di San Lorenzo di Vaiano, sulle pendici del Montalbano, e le pievi, tutte dedicate a San Pietro, in Campo, di Neure, di Cellere (poi Cerreto), di Ripoli, e di Cappiano. Il piviere di Cappiano comprendeva il territorio e la popolazione che viveva sulle Cerbaie, l’area collinare posta fra i due specchi d’acqua dei paduli di Fucecchio e di quello di Bientina attraversata dalla via Francigena. Passato l’Arno (Arne blanca), il famoso itinerario descritto dall’abate Sigerico nel X secolo passava ai piedi del colle di Salamarzana (Fucecchio) e proseguiva verso Lucca salendo sulle Cerbaie. Il tracciato superava un secondo corso d’acqua proprio a Cappiano, l’aqua nigra, da identificarsi proprio con l’Arme-Usciana, l’emissario del padule. La presenza dello specchio d’acqua costituiva per la popolazione delle sue rive fonte di cibo e possibilità di sopravvivenza. Ne parlano i documenti del tempo che fanno cenno alla presenza di pescaie, approdi, diritti di pesca e censi pagati con i prodotti ittici del padule.
Nel corso del Quattrocento la città di Firenze, che aveva ormai acquisito i territori del Valdarno Inferiore, poteva controllare le aree umide della Valdinievole, il lago di Bientina e il padule di Fucecchio. I due specchi d’acqua costituivano, infatti, con l’Arno, un sistema di vie d’acqua perfettamente integrato al sistema delle vie di terra e di grande valenza strategico-commerciale per la nascente Repubblica fiorentina. Inoltre il padule, riserva ittica inesauribile, avrebbe coperto il fabbisogno di pesce della città liberandola, da allora in poi, dalla necessità di importare dalla costa i prodotti ittici di mare. È infatti con la costruzione della pescaia avviata nel 1438 dagli ufficiali fiorentini a Ponte a Cappiano che comincia a prendere corpo il progetto del “Lago Nuovo” di Fucecchio. La chiusa avrebbe infatti aumentato la capacità del bacino e la sua pescosità al punto da renderlo il primo fornitore di pesce fresco d’acqua dolce alla civitas florentina. Questa importante iniziativa di tipo pubblico condizionò notevolmente l’economia locale. Sebbene rimase una forma di diritto di pesca da parte dei privati, soprattutto delle famiglie fucecchiesi che da sempre vivevano del pescato del padule, la creazione del Lago Nuovo portò in breve tempo al monopolio dell’attività che andò concentrandosi nelle mani di pochi appaltatori. Ad esempio è in questo periodo che cominciano gli acquisti da parte dei Medici di beni –terre e botteghe- nel fucecchiese, molti dei quali posti nei dintorni del lago. E questo avvenne circa un secolo prima dell’acquisto e della ricostruzione medicea del Ponte di Cappiano che furono all’origine della nuova, profonda, trasformazione del padule di Fucecchio. Dunque quando Leonardo disegna nelle sue più famose carte del Valdarno Inferiore i due specchi d’acqua, riproduce la situazione della zona umida del sistema lago di Bientina-Padule di Fucecchio esattamente nel periodo precedente all’intervento mediceo. Ecco che nella carta della collezione Windsor Castle (RL 12685) si vede il Padule che occupa una superficie molto vasta. A destra la catena del Montalbano con la Nievole e tutti gli immissari dei monti settentrionali. Sulla sinistra è perfettamente reso l’ampio spazio delle Cerbaie, l’area collinare che separava i due laghi della Valdinievole. Dopo Altopascio, disegnato nelle sue forme bassomedievali di centro cinto da mura, è molto ben reso lo sperone che scende dai contrafforti settentrionali fino ad incunenarsi nel piccolo lago di Sibolla. Su quel rilievo, in prossimità della pianura, si vede rappresentato il castello di Montecarlo, con il dettaglio della Rocca del Cerruglio. L’emissario del padule è contrassegnato dal ponte fortificato di Cappiano, presso Fucecchio. Si tratta di una rappresentazione del ponte estremamente aderente al vero: al tempo di Leonardo, infatti, all’epoca della stesura delle carte (1503-1504) il ponte di Cappiano conservava ancora la forma che aveva assunto durante il Basso Medioevo. Fucecchio è rappresentato con l’intero circuito murario due-trecentesco e con la Rocca Fiorentina, ben visibile sulla parte alta settentrionale del colle.
Una delle opere più famose di Leonardo, il Paesaggio della Valle dell’Arno disegnato a inchiostro su carta e conservato nel Gabinetto dei Disegni e delle Stampe della Galleria degli Uffizi, raffigura al centro lo scorcio di uno specchio d’acqua che, secondo una interpretazione di Romano Nanni largamente condivisa, è da riconoscersi come parte del padule di Fucecchio. Le acque disegnate da Leonardo, acque calme, senza corrente, che bagnano una pianura segnata dalle coltivazioni, si trovano ai piedi di una serie di rilievi dalla forma inconfondibile. Secondo questa lettura il colle conico posto sulla destra della catena che delimita quelle acque è il colle di Monsummano Alto con il suo castello circondato da mura sulla sommità. La sua forma, fra l’altro, è straordinariamente simile a quella con cui Leonardo rappresenta il colle di monsomano nella nota veduta a volo d’uccello della collezione Windsor Castle (RL 12685). Osservando ancora il Paesaggio, poco sulla sinistra rispetto al colle di Monsummano si vede un secondo rilievo che si allunga verso la riva del lago dove alcune forme verticali –che non possono essere interpretati come vegetazione-suggerirebbero la presenza di un altro centro fortificato. Si tratterebbe dello svettare dei bastioni della Rocca di Montecarlo che sulla base degli elementi topografici presi in considerazione concorderebbe con la posizione nel disegno leonardiano. I luoghi rappresentati nel famoso disegno sarebbero quindi luoghi assai familiari a Leonardo che avrebbe realizzato il paesaggio utilizzando diversi scorci ben impressi nella sua memoria assieme ad elementi elaborati, invece, dal repertorio iconografico in uso nelle botteghe fiorentine di pittura di quel tempo. Il disegno riporta la data: dì di s.ta Maria della neve/adì 5 d’aghossto 1473. A quella data Leonardo aveva ventun anni e da un anno era iscritto alla Compagnia dei pittori, a Firenze. Sebbene il paesaggio a inchiostro su carta sia la prima opera datata dell’artista non fu certo la prima. Leonardo aveva appena realizzato l’Annunciazione degli Uffizi dunque era già un maestro pur continuando a lavorare nella bottega del Verrocchio.
La data del Paesaggio è completata dal riferimento ad una ricorrenza, la festa dedicata alla Madonna delle Nevi. Questa devozione mariana era particolarmente sentita dalla popolazione di quest’angolo del Montalbano, specialmente a Monsummano e a Montevettolini dove il culto è attestato fin dal Medioevo. Il Paesaggio di Leonardo è certamente frutto del ricordo dei luoghi familiari che aveva lasciato solo pochi anni prima. Anche il riferimento alla festa della Madonna, così popolare, non fa che richiamare l’idea di una memoria precisa legata ai dintorni di Vinci. Non si può non immaginare gli anni della fanciullezza di Leonardo regolati dai ritmi del quotidiano come anche dalle periodiche ricorrenze popolari che scandivano la vita di qualunque abitante di quelle comunità. Sappiamo ad esempio dalle ricerche di Renzo Cianchi, primo bibliotecario della Leonardiana, che lo stesso patrigno di Leonardo, il fornaciaio Antonio Buti detto l’Accattabriga, si trovava alla festa della Madonna di Massarella dell’8 settembre dell’anno 1470. La festività della chiesa locale, la pieve di Santa Maria di Massa Piscatoria, doveva attirare gente di tutto il circondario se le persone che si trovano con l’Accattabriga alla festa della Madonna dell’8 settembre provenivano da Vinci, Orbignano, Empoli e Pontorme. La strada che da Vinci portava alla casa dell’Accattabriga a Campo Zeppi, nel popolo di San Pantaleo, proseguiva verso ponente fino a raggiungere in pochi chilometri le rive del Padule. Massa Piscatoria si trovava sul lato opposto, raggiungibile sia superando il rio emissario del lago (da cui il nome antico della pieve, detta in Ultrario) sia utilizzando le tipiche imbarcazioni del padule. Le rive erano punteggiate di approdi come quello delle Morette, il piccolo porto storico valorizzato dal Centro di Ricerca, Documentazione e Promozione del Padule di Fucecchio dove oggi si possono vedere ancora esemplari di noccoli, i tipici barchini a fondo piatto. Le imbarcazioni più grandi usate per il trasporto di merci e persone, i navicelli, solcavano il padule fino al secolo scorso e oggi si possono vedere solo nelle foto d’epoca conservate presso il Centro. Tuttavia se si osserva il Paesaggio di Leonardo del 1473, sulle acque calme dello specchio d’acqua si intravedono le sagome dalle caratteristiche prue ricurve dei navicelli del Padule. Invece la quattrocentesca tavola fucecchiese della Madonna con il Bambino in gloria e santi dipinta su committenza della Confraternita femminile della Vergine Annunciata -ancora una testimonianza della devozione mariana delle genti del Padule- raffigura in basso l’immagine di un tipico barchino a fondo piatto del tutto simile agli esemplari del Padule. La tavola, opera di Giovanni di ser Giovanni detto lo Scheggia, fratello di Masaccio, è conservata nella pinacoteca del Museo Civico di Fucecchio. La Vergine col Bambino, incorniciata dal rosso violento dei cherubini, è affiancata da quattro figure. Sul lato sinistro San Sebastiano è collocato su uno sprone di terraferma mentre San Lazzaro e le Sante Marta e Maddalena sono in piedi sul barchino del Padule. Si tratta di una allusione al viaggio dei tre santi che dalla Palestina, secondo una tradizione diffusasi nel Medioevo attraverso la Legenda Aurea di Jacopo da Varagine, sarebbero giunti in Provenza. Il Museo Civico di Fucecchio conserva anche una ricchissima collezione ornitologica dedicata alla fauna locale, fossile e contemporanea, del Padule di Fucecchio.
A cura di
Silvia Leporatti
Galleria fotografica
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