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Castelfiorentino

Castelfiorentino fu uno dei castelli dei conti Alberti in Valdelsa. La sua storia più antica risale al XII secolo quando la via romea, la Francigena, correva lungo i crinali delle alture che si affacciavano sulla riva destra dell’Elsa. Il sistema di tracciati che solcava fin dall’Alto Medioevo la Valdelsa era composto, infatti, da percorsi diversi: se nel X secolo la strada descritta nei racconti dei viaggiatori era quella che passava da San Gimignano, la pieve di Chianni e poi San Genesio, sulla sinistra dell’Elsa, dal XII secolo fa la sua comparsa un nuovo tracciato utilizzato sicuramente dagli eserciti che correva invece sulla riva destra toccando Certaldo e Castelfiorentino. In corrispondenza di Castelfiorentino, dove era possibile attraversare l’Elsa, la via Francigena incrociava un’altra importante strada a carattere regionale: la via volterrana.

Il castello indicato con il nome di Castrum Florentinum apparteneva nella seconda metà del XII secolo alla famiglia dei conti Alberti che al tempo controllavano diversi importanti centri della Valdelsa. In realtà numerosi indizi fanno cenno ad un “castello vecchio”, un sito fortificato ancora più antico che tuttavia non sappiamo se preesistesse al castello albertingo oppure fosse ubicato altrove, magari in prossimità dell’antica pieve di Sant’Ippolito che si trova poco lontano, in località Pieve Vecchia. In ogni caso il Castellum Florentinum dove sostò il Barbarossa nel 1177 era il medesimo che lo stesso imperatore aveva confermato nel 1164 al conte Alberto IV e che occupava la parte più alta di Castelfiorentino. Del castello degli Alberti non si sono conservate strutture visibili. Si può intuire l’areale dell’insediamento più antico seguendo la traccia del perimetro riconoscibile nella curva di livello segnata, sulla parte a monte, dalle mura. Il circuito murario, intervallato da torri rompitratta in laterizio, appartengono ad una fase più tarda ma probabilmente ripetono il filo del circuito murario originario. Una delle torri di questo primitivo circuito murario è conservata alla base del campanile della pieve di Sant’Ippolito, bellissimo edificio romanico in laterizi realizzato sullo scorcio del XII secolo. La chiesa, con la sua semplice facciata a capanna ornata unicamente dalla bifora centrale e da una serie di bacini ceramici ispano-moreschi, è, come le vicine pievi di Monterappoli e di Coiano, un esempio tipico del cosiddetto Romanico Valdelsano. Il trasferimento della chiesa plebana dalla primitiva località Pieve Vecchia all’interno del castello avvenne in uno scenario profondamente mutato rispetto al periodo precedente. Fra la fine del secolo XII e i primissimi anni del Duecento, infatti, quando avvenne la costruzione della pieve, la famiglia comitale degli Alberti aveva già perso le prerogative giurisdizionali di Castelfiorentino che stava diventando, a tutti gli effetti, un castello del comitato fiorentino.
Gli ultimi venti anni del XII secolo furono determinanti per il destino degli Alberti in Valdelsa. Qui la famiglia vantava diritti che si erano notevolmente accresciuti anche a seguito dell’estinzione, al principio del secolo, della potente casata dei Cadolingi. La costruzione del nuovo centro albertingo di Semifonte, cominciato attorno al 1170 sulle vicine colline Certaldesi, nel cuore delle loro terre, era stato l’apice di un preciso programma politico ed economico che si poneva in evidente contrasto con le ambizioni della città di Firenze. Nel 1184 Alberto IV con i figli Guido e Maghinardo sottoscrivono l’accordo con Firenze che sancisce la sottomissione dei conti e degli abitanti dei loro castelli valdelsani. Nell’atto di sottomissione gli homines dei conti Alberti habitantes inter Arnum et Elsam giurano di fare guerra e pace secondo la volontà del comune di Firenze. Nel 1209, dopo la morte del conte Alberto IV, al figlio Maghinardo non rimane che il diritto di albergaria su Castelfiorentino. La comunità del castello, entrato definitivamente nell’orbita fiorentina, andava già formando, al tempo, propri organi di governo locale. La fortuna del castello valdelsano fu certamente legata alla sua posizione. Castellum Florentinum è una delle tappe del percorso che fece il re di Francia Filippo II nel 1191 al ritorno dalla terza crociata. La corte regale, che proveniva da Siena, dopo aver superato il castello di confine chiamato marche castellum (Staggia), si era mantenuto sul tracciato in destra d’Elsa toccando Poggibonsi (Seint Michel castellum) e Castelfiorentino dove probabilmente esisteva già un attraversamento dell’Elsa. Il viaggio, infatti, proseguì sulla riva opposta, verso San Genesio, ricollegandosi al tracciato più antico, quello percorso dall’arcivescovo di Canterbury nel X secolo. Il ponte sull’Elsa a Castelfiorentino costituiva il nodo dove la direttrice longitudinale della valle, la via romea, incrociava quella trasversale, la via volterrana verso Firenze. Nel corso del Duecento l’abitato si era sviluppato all’esterno delle mura castellane, sul versante rivolto verso il fiume e il suo ponte.
L’abitato che era andato crescendo, nel corso del XIII secolo, all’esterno del primo nucleo castrense, sul versante del rilievo rivolto verso la valle, venne racchiuso da un nuovo circuito murario che comprendeva anche la parte detta Borgo nuovo. La nuova estensione della parte murata aveva raggiunto la linea dell’attuale via Lungo le Mura, dove si apriva la porta principale da cui usciva la strada che raggiungeva il ponte sull’Elsa. Alla metà del Trecento la strada che dalla porta maggiore raggiungeva l’attraversamento era già un prolungamento dell’abitato ed era chiamato Borgo d’Elsa. In una descrizione del tempo viene descritto così: Burgo Else ad pedem castri, in capite Burgi Else, apud pontem Else de Castro Florentino, dove il Borgo d’Elsa risulta esteso, appunto, dalle mura di Castelfiorentino fino al ponte sull’Elsa. È questa la massima estensione raggiunta dall’abitato alla metà del Trecento. Il grosso borgo fortificato era considerato da Firenze fra quelli strategicamente importanti: si trovava sul confine dell’Elsa che fu interessato da episodi di guerra per i due secoli successivi. Nella seconda metà del Trecento Firenze controllò sistematicamente, attraverso i suoi Ufficiali, l’efficienza di Castelfiorentino ordinando, di volta in volta, quanto necessario per il suo mantenimento. Nel 1349 fu ordinata la cessione alla comunità di Castelfiorentino di una delle torri di cortina che apparteneva alla pieve, per evitare che cadesse in mano nemica e potesse essere utilizzata contro il castello stesso. Nel 1359 per Castelfiorentino viene valutata la capacità di ospitare ben 200 cavalieri, come i più grossi centri della Valdelsa (Poggibonsi e San Gimignano), al contrario di Monterappoli e Pontorme che non ne potevano ospitare nemmeno uno. Negli anni Settanta del Trecento gli uomini di Castelfiorentino, che avevano contribuito alla guerra contro San Miniato, chiesero a Firenze di essere esentati dalle gabelle. Durante le campagne militari avevano sofferto danni ai raccolti, oltre a sostenere l’onere di restaurare le mura del castello e solo l’esenzione dalle imposte avrebbe evitato l’abbandono di massa della popolazione ormai impoverita ed indebitata. Il centro incastellato di Castelfiorentino al tempo di Leonardo doveva apparire ancora nella forma raggiunta alla metà del Trecento. Nella famosa veduta a volo d’uccello della Valdelsa riprodotta nella carta RL 12278 della collezione di Windsor si vede nitidamente il profilo di Castelfiorentino racchiuso da un giro di mura turrite. Le mura erano state più volte oggetto di restauro. Nel 1430, come si legge in una relazione redatta dal podestà di Castelfiorentino Benedetto di Piero Strozzi, le mura risultavano crollate almeno in tre punti e avrebbero dovuto essere acconciate ma le condizioni economiche degli abitanti, a quel tempo, non lo permettevano. Tuttavia Castelfiorentino al tempo di Leonardo è ancora uno dei castelli che caratterizzavano il paesaggio militare della Valdelsa.
Le carte del Codice Leicester dedicate alle teorie leonardiane sull’origine delle formazioni geologiche del Medio Valdarno fanno cenno anche a Castelfiorentino. Leonardo, che aveva vissuto gli anni della giovinezza nei dintorni di Vinci, aveva avuto modo di percorrere ed osservare quelle terre valdarnesi che furono per lui fonte di ispirazione. Il suo pensiero partiva dall’idea del mare antico che si estendeva, in origine, fino alla Gonfolina, dove riceveva le acque dell’Arno. Secondo Leonardo il movimento delle acque marine modellava il materiale litico che i fiumi scaricavano nell’antico mare dando origine a strati geologici di diversa composizione, dai più grossolani ai più fini: la “ghiara minuta”, la “rena” e infine il “fango”. Il ritirarsi delle acque del mare pliocenico doveva aver lasciato i depositi più grossolani e pesanti lungo le rive antiche poste più a monte e quelli più fini e leggeri lungo le rive poste più a valle. Egli notava la presenza di “sassi grandissimi” e “ghiara” intorno a Montelupo e Capraia mentre la “rena”, che era più fine, si trovava più a valle, a Castelfiorentino (Codice Leicester f. 6A-31v; 8B-8v). Quando Leonardo parla della “rena” di Castelfiorentino la descrive come formazione rocciosa di tipo tufaceo (“la congelazione della rena s'è fatto tufo”) intendendo, sostanzialmente, i depositi di sabbie cementate che costituiscono gran parte degli affioramenti geologici dell’area e il litotipo più frequente dell’edilizia in pietra della Valdelsa.
Leonardo cita in una nota del Codice Arundel un credito di un personaggio chiamato Vante miniatore. Così scrive: “Ricordo come addì 8 d’aprile 1503 io Lionardo da Vinci prestai a Vante miniatore ducati 4 d’oro in oro; portògli Salaì e li dette in sua propria mano. Disse rendermeli infra lo spazio di 40 giorni” (Codice Arundel 229v). Si tratta di Attavante degli Attavanti, nato a Castelfiorentino nel 1452 da una famiglia nobile del luogo e attivo a Firenze nell’arte della miniatura. Almeno dal 1491 abitava a Firenze in una casa acquistata in via Fiesolana ma è possibile che fosse in città già da prima. Sembra infatti probabile che abbia conosciuto Leonardo frequentando come lui la bottega del Verrocchio, attorno agli anni Settanta del Quattrocento. A Vante miniatore, infatti, si attribuisce una composizione miniata che copia il celebre Battesimo degli Uffizi del Verrocchio. Leonardo e Attavante erano ambedue a Firenze nel 1503 quando furono fra coloro che erano stati chiamati ad esprimere un parere sulla collocazione del David di Michelangelo.
A cura di
Silvia Leporatti
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